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  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 dicembre 1982
 
di Liliana Cavani, con Marcello Mastroianni, Eleonora Giorgi, Tom Berenger, Michel Piccoli (Italia, 1982)
 
Marcello Mastroianni, mal rasato e ingrassato, infagottato in un pastrano oscuro e con gli occhiali neri da killer, insegue e perseguita per le vie di Roma Eleonora Giorgi, viso pulito acqua e sapone, sposina (così appare allo spettatore) di fresco.

Per il tramite di un flash-back tremendo si torna a Marrakech: l'accostamento di montaggio è grossolano, ma dalle vesti dei passanti e dal colore delle bouganvillee ci accorgiamo di essere ormai nella Medina, e non più ai Parioli. E a Marrakech, della quale ritroviamo tutte le vedute dei prospetti charter, seguiamo la faccenda con gli occhi chiari del solito giovane americano di belle speranze Tom Beranger, jeans attillati, ingegnere del petrolio ed elicottero a disposizione per partire in week-end con la bella al di là dell'Atlantico, visita alle rovine e pic-nic completo di thermos e plaid scozzese. La bella è Eleonora Giorgi, e spiegarvi cosa faceva a Marrakech diventa meno semplice. Il nostro giovane l'incontra al bar, ovviamente del Mamounia, l'equivalente del Palace di St. Moritz per l'Africa del Nord. Fa la guida per turisti: ed il nostro, colpo di fulmine, la segue nelle sue peregrinazioni per la casbah.

Arabi molli e corrotti, mance che spalancano le porte, orgette e guardoni come a Pigalle, sodomizzazioni a turiste estatiche, previa lacerazione di jeans con forbice ad effetto spettatori che pensano di andare a vedere un film più o meno porno. E qui si sbagliano: la Cavani non vuol tanto turpitudini, quanto melodrammi: Eleonora non lo fa per piacere, ma per dovere. Guadagnare quattro soldi, conservarsi pura e attendere l'uscita dal carcere dal proprio patrigno (Mastroianni, naturalmente), al quale è attaccata da spirali erotiche (l'amplesso con lo slip di cui alla locandina del film) più che sentimentali.

Il tiranno incestuoso che imprigiona la colomba immacolata, l'avreste pensato pure voi. Immaginate l'americano dagli occhi chiari che in più è anche innamorato. E, come se non bastasse, c'è anche il padre (quello vero, Michel Piccoli) che gli dice portala via, portala via da questo inferno se vuoi salvarla da quel sàtiro e da quest'Africa che ti fa perdere i sensi.

Saltando un mucchio di dettagli e di personaggi per non infierire sulla vostra pazienza, giungiamo alla conclusione. Anche perché è la cosa che deve aver indotto la regista ad interessarsi della faccenda: l'aguzzino non è lui. Non lui, volontariamente in carcere per conservare (pietà, attrazione morbosa per l'oggetto condizionato) la proprietà di una compagna più giovane e disponibile. Posseduto e non possessore (il che spiega anche perché l'interprete di Fellini abbia accettato un ruolo altrimenti odioso, oltre che sconclusionato): è lei, la colomba, che lo teneva in carcere per usarlo come e quando gli piaceva. Abbandonerà il (presunto) amore per il giovane in jeans per il vecchio e odioso oggetto di possessione.

Insomma: il tema del possesso reciproco, delle prigioni mentali che creiamo per noi e per gli altri e che prevaricano le leggi antiche, le morali precostituite, i sentimenti di comodo che ci hanno tramandato per conservare condizionamenti di comodo.

Liliana Cavani non era nuova a questi temi, che aveva sviluppato con intuizioni felici (accanto ad altre tentazioni non sempre giustificabili) nei suoi momenti più noti (tipo Portiere di notte) e anche in opere non totalmente riuscite (come quel La pelle che avevamo difeso un anno fa a Cannes) ma che dimostravano una sua volontà di uscire dai sentieri battuti non tanto morali quanto espressivi. Qui, lo avrete compreso, è un macello. A parte il tema, che come sempre in questi casi si considera non interessante, la trama è clamorosa nella sua mancanza di logica e di semplicità. Ma, come sempre, è nello scadimento di qualità, per non dire nell'inesistenza dello sguardo che tutto precipita. Non una sola immagine dell'Africa suggerisce qualche sentimento che potrebbe giustificare le psicologie dei personaggi o i risvolti dell'aneddoto, non una luce viene a illuminar queste faccende oscure che ci lasciano completamente indifferenti.

Abbandonati a se stessi gli interpreti sono pessimi, primo fra tutti un Mastroianni in preda a furori erotici troppo espliciti per il proprio fisico e a contraddizioni psichiche troppo improbabili per la propria mimica. Eleonora Giorgi parla d'incesto e di suicidio con la medesima intonazione con la quale annuncia l'orario del jet per Casablanca, e Piccoli deambula in abito lungo per sottolineare il proprio africanismo. Liliana Cavani ha molti nemici (fra i quali non ci siamo mai schierati) pronti a fischiarla ad ogni suo non impossibile eccesso: non è certo con imprese turistico-psicopatologiche come quella di Oltre la porta che riuscirà a far girare il vento.


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